Le Suites per violoncello solo, composte da Bach durante il servizio a Köthen come direttore del ‘Collegium Musicum’, costituiscono alcuni tra i brani più stupefacenti e progressivi della musica europea. Presso l’eccellente orchestra creata dal principe Leopoldo, Bach aveva l’occasione di applicare le tecniche di contrappunto e quelle di variazione, che aveva appreso nella difficile pratica di Kapellmeister (direttore di coro, accompagnatore, improvvisatore all’organo...), alla ricca tavolozza di colori del gruppo strumentale, senza vincoli né stilistici né liturgici: un momento di grande felicità creativa, del quale i Concerti Brandeburghesi sono il frutto più celebre. La suite, nata nel Cinquecento come forma strumentale ad uso della corte, è una sequenza di balli di carattere differente: originariamente due, lento-veloce (pavana e gagliarda), poi arricchita fino a giungere allo schema più comune nel tardo Seicento: Allemanda - Corrente - Sarabanda - Minuetto (o Bourrée) - Giga. Bach, destinando la suite a strumenti differenti come il clavicembalo, gli archi, il flauto, non la rende una composizione astratta; anzi conferma, in questo aspetto della propria attività creativa, il profondo legame tra il colore degli strumenti, la loro tecnica e la scrittura loro destinata, ricca di peculiarità atte a mettere in luce il ‘carattere’, la personalità di quegli strumenti al suo tempo. Ciononostante le suites di Bach non sono più raccolte di brani destinati al ballo, ma forme musicali autonome dove la stilizzazione delle danze lascia all’autore la libertà di trattarle non convenzionalmente, ma anzi dispiegandovi i tratti peculiari del proprio stile, primo fra tutti la polifonia.

In queste composizioni, come in tutte le sue musiche per strumento solista ciò che colpisce di più è proprio l’abilità nel dare spessore polifonico a una melodia, a una singola linea. In questo senso la Partita per flauto solo in la minore è rivelatrice: uno strumento che non può, come possono gli archi, emettere più di una nota per volta, uno strumento per natura, carattere e storia eminentemente monodico, riesce a ‘simulare’ una polifonia non dissimile da quella delle composizioni profane per cembalo, dei Concerti, delle Cantate. Alternando frammenti delle due melodie simultanee, Bach invita l’orecchio di chi ascolta a completare il disegno, proseguendo la linea ove lo strumento, qua e là, l’abbandona per accennarne un’altra: un gioco d’illusione acustica che riesce sempre per la forte necessità, melodica e contrappuntistica delle linee, che sono in ogni momento ‘come dovrebbero essere’, naturali nella complessità, mai prevedibili o banali. Sono le possibilità offerte da un linguaggio, quale il contrappunto nel sistema tonale, giunto nel primo Settecento alla sua piena maturità; in più Bach vi aggiunge la sua inclinazione per il pulsare ritmico, il suo gusto per la sperimentazione di timbri nuovi (il violoncello era allora una novità), l’eleganza nell’insistere sul colore scuro di uno strumento che in mano sua si trasforma in una strana macchina generatrice di invenzioni musicali futuribili.

Luana Salvarani