La ‘favola
musicale’ Pierino e il lupo è forse
la più celebre tra le composizioni narrative destinate a un pubblico di
ragazzi. La gradevole storia costruita attorno a Pierino, al nonno e a una
nutrita schiera di animali parlanti, non utilizza la musica come sfondo, ma dà
vita ad una partitura autonoma grazie ad un espediente molto semplice: ogni
personaggio è associato a un tema e a uno strumento, congegnato in modo da
tratteggiarne il carattere e, nel contempo, a poter dialogare col tessuto
orchestrale e con gli altri temi a seconda delle situazioni che la fiaba via via
presenta. Ne risulta una sequenza avvincente di concertati tra solisti e di
scene sinfoniche, nella quale lo spirito del gioco e del racconto è vivificato
dall’arte ‘rappresentativa’ di Prokofiev, che nel Pierino - come nei balletti - sa mettere a frutto la ricchezza di
colori dell’orchestra russa di primo Novecento, costruendo con il suo talento
novatore un leggero ma arguto dialogo tra oggetti musicali: un’idea ripresa
poi nel secondo dopoguerra da Britten nella sua Guida
del giovane all’orchestra op. 34. Nella Guida
di Britten una voce narrante presenta le famiglie strumentali, così come nel Pierino
i temi-personaggi e la vicenda sono tenuti assieme da un narratore che ha lo
scopo di illustrare e interpretare con humour
la fiaba. Si tratta quindi di un ruolo impegnativo già sostenuto da decine
di attori classici e comici (negli ultimi anni, per esempio, da Benigni e
Albanese), e probabilmente Jovanotti utilizzerà, come tratto personale, il
parlato ritmico delle sue canzoni, quella sorta di rap
‘riveduto e corretto’ che lo ha reso famoso fin dagli esordi e che
avvicinerà questo spettacolo ad un pubblico ancora più vasto.
Da questo
Prokofiev genialmente giocoso all’austera serietà del Brahms sinfonico il
passo non è breve. Nell’ambito di una nota sintetica non è possibile
ripercorrere i meandri strutturali della Terza
Sinfonia e il suo complesso sistema di ritorni e analogie tematiche. Ci
limiteremo a ricordare come questa partitura si situi a metà del percorso che
porterà Brahms dalla inquietante materia magmatica che ribolle
nell’Introduzione della Prima Sinfonia,
alla provvisoria conciliazione del finale della Quarta, ottenuta attraverso l’impiego di una forma antica e già
bachiana come le variazioni su basso di ciaccona. Per Brahms, com’è noto, la
Sinfonia era un grave problema, il crocevia del suo incontro-confronto col
fantasma beethoveniano; nella Terza
l’utilizzo di temi legati alla poetica del Romanticismo (un elemento di tre
note, un salto di terza minore, lega tutta la composizione dall’inizio alla
fine) è disciplinato in una forma classica che momentaneamente elude le
rivoluzioni formali del Beethoven più maturo. In tal senso la Sinfonia
n° 3 (conclusa a Wiesbaden nel 1883) è divenuta un ‘grande classico’
anche per la sua più agevole strutturazione, per l’involucro eroico-trionfale
nel quale si celano, per rivelarsi molto dopo il primo ascolto, le sottigliezze
inventive e le tormentose elaborazioni dell’ingegno brahmsiano.
Luana Salvarani